Stalin e Hitler erano dittatori, Putin non lo è

                                     


La mente di un dittatore è caratterizzata da alcune peculiari funzioni: banalità; violenza, debolezza.

 

BANALITÀ - Il dittatore concepisce il mondo con canoni e proporzioni “regolari”, cioè aderenti alla regola che naturalmente produce egli stesso. Tutta la complessità del contesto, il variegato ventaglio di possibilità “eretiche” e la diversità di posizioni, nella mente di un dittatore non esiste affatto.  Il mondo del dittatore è un mondo vuoto, scavato, banale, prevedibile, uguale a se stesso. Egli ama parate, celebrazione del potere, il cosiddetto “popolo” felice ed entusiasta.

 

VIOLENZA – Ogni dittatura è incapace di confrontarsi con un imprevisto, che poi, il cosiddetto imprevisto è solo la normale ipotetica dissidenza da un pensiero o un punto di vista diverso: di conseguenza, egli agisce con violenza, non avendo gli strumenti dialettici e il livello negoziale per poter confrontarsi, reagirà sempre con la forza della repressione e con le armi.

 

DEBOLEZZA – La dittatura è la forma di governo più debole rispetto alle altre. Esse hanno paura delle novità, dei cambiamenti e delle alterazioni dell'equilibrio esistenziale di una comunità, delle nuove mode e tecnologie. Anche una probabile catastrofe naturale, una sciagura un incidente, mette in allarme un sistema dittatoriale poiché questo può ingenerare una scintilla che incendia un disordine e quindi un rovesciamento del potere. Le continue parate militari, le ostentazioni della forza armata, la celebrazione del potere “mascolino” di un popolo e il ruolo delle donne come gregarie e fattrici di nuovi individui che faranno anche loro la stessa cosa, è per il dittatore imprescindibile dal destino di una nazione ma è la spia di allarme di una paura costante e presente per tutto quello che non si controlla.

 

IBERIA (poesia scritta da Stalin quando aveva 20 anni)

 

S'é dischiuso il bocciolo alla rosa,

si protende a lambire la viola e

lo zefiro e dondolo lieve al

capino or or desto del giglio.

Fra le nubi su in alto

intonava il suo verso sonoro

l'allodola. L'usignolo, col trepido

trillo, effondeva la tenera voce.

Terra amata, in tripudio di fiori

sboccia Iberia e accogli il

tributo di letizia che l'ala

dello studio che il tuo

figlio georgiano ti porta.

 

[Iosif Vissarionovič Džugašvili]

 

Questa è una poesia del giovane Stalin, aveva vent'anni quando la scrisse ed è dedicata alla Georgia, il suo Paese natale. Analizziamola:

 

il componimento sembra apparentemente un dolce idilliaco canto intimo che descrive la natura in modo semplice e diretto, ricorda la dimensione bucolica della lirica classica ma al di là della facciata apparentemente abbigliata in modo estetico, la prima strofa ma anche tutto il resto è una scopiazzatura di stili e consuetudini metriche piuttosto composita e caotica. Nulla fa pensare a una originale e sapiente costruzione descrittiva degli autori arcadici. Si notano anche una serie di errori costruttivi e sintattici: la preposizione “alla” tra “bocciolo” e “rosa” non si adatta a rendere il senso dell'azione che il soggetto (bocciolo) commette. Si tratta di una forzatura. Nel successivo verso notiamo: “...si protende a lambire la viola e lo zefiro e dondolo lieve...”; chi si protende? Qui non vediamo il soggetto, se si tratta della rosa, il senso è messo fuori gioco dalla metrica che chiude proprio con il termine “rosa” e con la virgola. In poesia funziona così la costruzione logica, attraverso il rispetto della metrica oltretutto il verso continua con una legatura congiunzionale ripetuta che toglie il senso compiuto alla frase. Continuando. “...al capino or or desto del giglio.”; ancora un'altra preposizione sconnessa dalle regole grammaticali (al) e la parola “capino” che dovrebbe significare “stridulo” o “afono” ma di cosa si tratta? Forse, nella traduzione dal georgiano, lingua tutto sommato indo-europea e quindi per un letterato di facile approccio dopo la traslitterazione, si trattava in origine di “catino” ma anche qui sfugge il concetto e la funzione.

 

La poesia va avanti con altre scene campestri e naturalistiche attraverso costruzioni incoerenti dei tempi verbali (S'è dischiuso; intonava, effondeva, sboccia, ti porta). Anche se i periodi sono delimitati dal punto, una poesia descrittiva e non introspettiva (come sempre, quando si tratta di Stalin non c'è alcun segno di introspezione) ha bisogno di una scorrevolezza temporale e verbale che  ovviamente qui non c'è! Il poema si conclude in modo indolente, dopo le varie fasi descrittive, non c'è alcun epilogo, nessun cambiamento di passo o continuità espositiva. La poesia, muore in un nulla di fatto, così com'era iniziata e con versi incomprensibili: “...sboccia Iberia e accogli il/tributo di letizia che l'ala/dello studio che il tuo/figlio georgiano ti porta”.  (L'ala dello studio?), Figlio georgiano? È come se Dante, rivolgendosi a Firenze avesse bisogno di dire “tuo figlio fiorentino”; si sa che un figlio è frutto di quella madre e di quella terra. Iberia è l'antico nome della Georgia. Dietro un mare retorico fatto di fiori, uccelli trillanti e scene campestri, egli tradisce già il segno malato del suo narcisismo patologico: Iberia deve gioire perché  il suo figlio illustre le porge letizia! La nazione qui non viene celebrata ma fa da sfondo alla sua personalità che compie un'azione centrale che mette fine al poema. Così come anni dopo, si impossessò del palcoscenico della storia piegando l'Unione Sovietica ai suoi voleri. Indubitabilmente i suoi meriti li ha, come la sconfitta delle armate naziste ma egli resta un piccolo, inadeguato contadino georgiano dalla mente troppo ristretta per le colossali tematiche storiche del secolo scorso.

 

Enzo Salatiello

 

Continua…

 

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