Giuseppe Impastato, professione eroe: oggi ricorre il 34esimo anniversario della sua dipartita. Cosa ci insegna la sua morte? Sua madre Felicia è stata una grande donna
Il 5 gennaio scorso, Giuseppe Impastato, per gli amici e per la Storia: “Peppino”, avrebbe compiuto 73 anni. Si fermò a 30. Nato in provincia di Palermo, a Cinisi. Una bomba mafiosa pose fine alla sua vita. Morì il 9 maggio del 1978. Curioso no? Lo stesso giorno moriva Aldo Moro. L’Italia è un Paese generoso, capace di donarci in un solo giorno, ben due eroi! Peppino dovette aspettare prima che lo diventasse per tutti noi. Quella morte oscura, macchiata dalla calunnia mafiosa (si disse che morì intento a fabbricare una bomba per un attentato anarchico. Falso! Nessuno fu più pacifico e pacifista del nostro Peppino). Il clamore del ritrovamento del corpo dello statista coprì quella morte. Peppino è un vero eroe per vari motivi: il primo è che fu un combattente disarmato, almeno non in senso convenzionale, le sue armi, molto affilate e letali per il potere criminale, furono l’ironia, lo sbeffeggiamento e la derisione degli uomini di mafia, ridicolizzare il boss locale fu devastante per il rispetto attraverso il quale gestiva il suo potere. Il secondo motivo sta nella sua famiglia. Mafiosa. Lo zio di Peppino, Cesare Manzella, cognato della madre, era un uomo d’onore e un reggente della “Cupola” mafiosa, ucciso nel 1963. Peppino andò insieme al fratello sul luogo di morte dello zio e lì nacque il “Peppino Impastato” intellettuale e antimafioso. Anche il padre, seppure senza un ruolo importante lo era, forse più per affiliazione e paura. I rapporti con il padre non erano buonissimi, il giovane Peppino sapeva che in fondo il padre era più una vittima sottomessa psicologicamente, dato il pesantissimo ambiente che non un convinto mafioso. Con la madre aveva il rapporto che hanno tutti gli eroi: dolcissimo e complice. Il terzo motivo, Peppino era un comunista, di quelli veri, rivoluzionario nella concezione stessa della vita, come ogni rivoluzionario (non solo politico ma, anche esistenziale e culturale, era un poeta, un giornalista un sindacalista un politico e come tale si mise al servizio totale degli uomini, degli offesi dei più deboli. Il suo attivismo era parossistico e faceva spavento, egli visse per la giustizia sociale e i diritti dei più umili tutta la sua breve vita. Da attivista rivoluzionario a eroe il passo è breve. Fu ucciso dopo vari tentativi che fecero pressione sul padre. Il padre cercò di salvarlo ma vi trovò anch’egli la morte. Ormai la famiglia mafiosa non si fidava più e decise di recidere il fiore del dissenso e dell’affronto. La sua vita è stata ben spiegata, oltre che in centinaia di pubblicazioni e tributi, anche nel bel film, pluripremiato, di Marco Tullio Giordana, con il protagonista nei panni di Peppino, Luigi Lo Cascio: “I cento passi”. Ma quale fu il fattore scatenante che portò alla decisione da parte del padrino Gaetano Badalamenti detto “Tano” a condannarlo? Peppino curava una rubrica da una stazione radio locale, “Radio Aut”. Da questa, definiva il boss “Tano seduto” e altre definizioni di questo genere. Il potere di un qualsiasi individuo che vuol avere il controllo totale sulla gente è la paura, se messo in ridicolo, tutto può sfumare pericolosamente. Peppino morì disarmato ma pericolosissimo per la mafia. Era candidato al comune di Cinisi per Democrazia proletaria quando trovò la morte. Egli aveva una specie di telecamera puntata sul futuro, fin dagli anni della gioventù. Fu contro la costruzione dell’autostrada di Capaci perché opera inutile che favoriva certi interessi. Peppino è invincibile perché, anche dopo la morte, intraprese la sua ennesima battaglia: riscattare la sua memoria dalla calunnia. Cominciò così un lento ma inesorabile lavoro di ricostruzione del vero movente di quell’assassinio. Egli animò con il suo spirito onnipresente la madre, il fratello e gli amici oltre che decine di attivisti combatterono affinché un processo portasse alla condanna definitiva di Badalamenti come mandante dell’omicidio. Peppino ha vinto! Sempre! Egli ci insegna che non dobbiamo essere muti, ciechi e sordi, altrimenti vengono meno le nostre facoltà civili collettive di cittadini con diritti e doveri. Peppino Impastato è nostro fratello, nostro amico, nostro comandante rivoluzionario, una Rivoluzione non violenta ma letale per tutti quelli che vivono in dispregio dei diritti civili e delle Istituzioni. A quando il suo nome su una nostra strada?
Enzo Salatiello
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